Riceviamo e pubblichiamo

Si parla a denti stretti di rigenerazione urbana e promozione sociale senza un progetto e senza coinvolgimento degli abitanti del luogo.

Un murales non è che un murales se dietro non c’è stato un percorso che ha coinvolto la comunità locale nella scelta del soggetto e del luogo di installazione. Ma soprattutto, se quel singolo murales non è inserito in un progetto integrato che preveda altre installazioni, un piano di promozione e valorizzazzione mediatica e la volontà di rendere l’esperienza stabile e continuativa nel tempo in modo da generare innovazione socio economico che si sviluppi attorno ad un quartiere periferico come quello dei 300 alloggi per troppo tempo abbandonato a se stesso.

Le periferie sono luoghi di privazione, disagio, precarietà e alienazione. Per questo un intervento di policy urbana deve avere come fulcro attività che generino innovazione e creatività sociale, identità, comunità e orgoglio di appartenenza. Perché la street art in questo quadro, non è solo esteriorità ma veicolo attraverso il quale far emergere la condizione di svantaggio sociale dei residenti che si ripensano non più come una comunità respingente e invisibile.

Da un punto di vista più generale, nel contesto urbano, l’efficacia di una policy di rigenerazione/riqualificazione/valorizzazione sta anche nella capacità di convertire un luogo marginale in un luogo attraente e di interesse collettivo. Siamo sicuri che un singolo intervento garantisca questo risultato continuativo nel tempo? Altamente improbabile.

E tutto ciò a che prezzo? No, non parlo dei 26 mila euro, parlo del fatto che questi provengono dal fondo migranti. Quindi si dirottano risorse destinate all’integrazione e alla promozione sociale per finanziare un intervento fine a se stesso, povero della dimensione di promozione sociale che dovrebbe avere. Non so fino a che punto ne beneficerà la popolazione residente ma sicuramente non l’immagine di questa compagine di governo cittadino che si cerca disperatamente di riabilitare.

C’è un particolare legame affettivo che mi lega a quel quartiere, per questo motivo quando finalmente si decide di intervenire dopo anni di indifferenza e ghettizzazione, avrei voluto e desiderato un’azione più articolata in risposta alla complessità del luogo in cui si opera. Ho immaginato un lavoro di pianificazione integrato e soprattutto una volontà politica di conoscerne la realtà sociale prima di pensare ad un intervento di riqualificazione urbana da implementare in quella zona della città. E invece no.

Temo che anche stavolta l’amministrazione comunale, presa dalla smania di “dimostrare” a tutti i costi, alla popolazione, che lavora e produce risultati, abbia dimostrato solo la sua insipienza, lontananza dai territori e incapacità progettuale e amministrativa. Noemi Bossi

Attivista M5S